venerdì 30 dicembre 2011

Henry Cartier Bresson


“Osservare lì dove gli altri sanno solo vedere”. Questa frase racchiude l’essenza del lavoro di Henri Cartier-Bresson, la sua inconfondibile cifra stilistica, la diversità del suo approccio alla fotografia, il suo rapporto con la macchina fotografica, cito le parole di Bresson: “La mia Leica è letteralmente il prolungamento del mio occhio” dice Cartier-Bresson, “ il modo in cui la tengo in mano, stretta sulla fronte, il suo segno quando sposto lo sguardo da una parte all’altra, mi da l’impressione di essere un arbitro in una partita che mi si svolge davanti agli occhi, di cui coglierò l’atmosfera al centesimo di secondo”. 





Henri Cartier-Bresson è l’abile demiurgo che dirige con indiscussa maestria il meccanismo che fa del fotografato il fotografabile, regola l’osmosi esistente tra il gesto puramente meccanico di premere il pulsante della macchinetta fotografica, e l’impressione dell’oggetto-soggetto sulla pellicola. La realtà per Cartier-Bresson : “è un diluvio caotico di elementi, in questa realtà, il riconoscimento simultaneo in una frazione di secondo dell’importanza dell’evento così come l’organizzazione precisa delle forme, da a quell’evento la relativa espressione adeguata…”. Nella partita tra il fotografo, ed il tempo fugace e quanto mai effimero se visto dall’obiettivo della fotocamera, per Bresson: “Siamo spesso troppo passivi davanti a un mondo che si muove e il nostro unico momento di creazione è il 1/25° di secondo in cui pigiamo il pulsante, l’attimo di oscillazione in cui cala la mannaia. Siamo paragonabili ai tiratori che “sparano” una fucilata” 




giovedì 29 dicembre 2011

Gianni Berengo Gardin


Gianni Berengo Gardin




Ha iniziato a occuparsi di fotografia dal 1954, inizia la sua carriera di fotoreporter, nel 1965 quando lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio.  Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L'Espresso, Time, Stern.

Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà
 dall'architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale e lo rendono un fotografo molto richiesto anche nel mercato della 
comunicazione d'immagine.








A seguire i video:
http://www.youtube.com/watch?v=Pgu4EM7wxxc&feature=fvw
http://www.youtube.com/watch?v=fJpaH5js3Ns&feature=related






mercoledì 28 dicembre 2011

La messa a fuoco e profondità di campo.

Esercitazione sulla messa a fuoco.

 La corretta messa a fuoco è un requisito essenziale per qualsiasi fotografia. Quando guardiamo gli oggetti e le persone intorno a noi, la nostra percezione è uniforme: ovunque spostiamo la nostra attenzione, vediamo sempre lo stesso livello di nitidezza. Di fatto i nostri occhi focalizzano continuamente ciò che osserviamo, adattandosi all'istante a qualsiasi variazione di distanza e diprospettiva, fornendoci così l'impressione che non esistano differenze tra gli oggetti vicini e lontani e che tutti siano costantemente a fuoco. Nella realtà, quando guardiamo qualcosa di vicino, gli oggetti lontani diventeranno sfocati nel perimetro visivo, e viceversa. L'obiettivo della fotocamera funziona nello stesso modo, con la differenza importante che nel momento di scattare la foto, blocca la messa a fuoco a una determinata distanza e tutti gli oggetti presenti sull'ipotetico piano che passa per quella distanza saranno perfettamente nitidi, mentre gli oggetti più o vicini o più lontani dall'obiettivo rispetto a tale distanza saranno via, via più sfocati. Ogni fotografia, perciò, ha un solo "piano di messa a fuoco critica" che viene determinato dalla fotocamera misurando in automatico la distanza in metri o centimetri tra l'obiettivo e il soggetto che si trova al centro del mirino nel momento in cui premiamo per metà il tasto di scatto.

Tuttò ciò che si trova su tale piano, ossia a tale distanza, detta "fuoco critico", sarà perfettamente a fuoco e perciò apparirà distinto e nitido nella nostra fotografia. Ciò che invece sarà più lontano o più vicino all'obiettivo rispetto alla distanza di fuoco critico, sarà progressivamente sempre più sfocato fino al punto a diventare indistinguibile. Nella pratica, non è possibile riconoscere il piano di messa a fuoco a occhio nudo. Il passaggio dalla nitidezza alla sfocatura è graduale al punto da formare un'area entro la quale gli oggetti ci sembreranno comunque nitidi, anche se non avranno una messa a fuoco perfetta. Tale area prende il nome di profondità di campo e copre un'ampiezza variabile a seconda della distanza del soggetto dalla fotocamera, della lunghezza focale dell'obiettivo e dell'apertura di diaframma. Giocando sulla profondità di campo si creano effetti creativi molto interessanti e si può trasformare completamente una foto, a parità di soggetto e di condizioni di luce.



Mssa a fuoco intermedia con diaframma chiuso
(discreta incisione per entrambi i piani, ma ancora imperfetta)
Iso 200 f/3.5 1/30 sec.

Grandangolo
(tutti i piani sono a fuoco)
Iso 800 f/4.2 1/50 sec.


L'apertura del diaframma riduce la profondità di campo 
Iso 800 f/4.3 1/50 sec.




Iso 200 f/3.5 1/30 sec. 


Iso 200 f/3.5 1/30 sec. 

martedì 27 dicembre 2011

Richard Avedon

Lo statunitense Richard Avedon (15 Maggio 1923, 10 ottobre 2004) operò in diversi rami della fotografia durante la sua vita, sempre alla ricerca di nuovi, interessanti soggetti, incarnando l'ideale del fotografo a tutto tondo (come Roberto Koch stesso lo definisce nel video postato in seguito).
Fu precursore di nuove tendenze, pioniere spinto alla ricerca e all'indagine sull'uomo da una curiosità sempre viva ed insaziabile.
La sua specialità furono i ritratti, sia di personaggi famosi, sia di persone comuni, che immortalò sempre andando alla ricerca di quell'insignificante dettaglio, dell'imprevisto capace di rivelare la natura intima del soggetto in questione.
Prezioso è il commento al lavoro del fotografo statunitense da parte di Roberto Koch, che nel video seguente presenta la retrospettiva allestita al Forma, Centro Internazionale di Fotografia di Milano, dedicata alle fotografie scattate da Avedon tra il 1946 ed il 2004


http://www.youtube.com/watch?v=XrO2Wu6Y0SM&feature=related






"Ho deciso per una serie di no. No alla luce raffinata, no alle composizioni artefatte, no alla seduzione delle pose o della narrativa. E tutti questi no mi hanno portato verso il "sì". Ho uno sfondo bianco. Ho la persona che mi interessa e quella cosa che accade tra noi." -cit. Richard Avedon-

Il resto lo lascio dire alle sue foto.


"I've worked out of a series of no's. No to exquisite light, no to apparent compositions, no to the seduction of poses or narrative. And all these no's force me to the "yes." I have a white background. I have the person I'm interested in and the thing that happens between us." -quote: Richard Avedon

I'll let his photos say all the rest. 

martedì 20 dicembre 2011

Modello Simple


Modello Simple°
Dal 13 dicembre 2011 al 14 gennaio 2012

Inaugurazione: martedì 13 dicembre 2011 ore 18.30 - 21.30
La galleria Monopoli presenta la mostra MODELLO SIMPLE°, una collettiva di opere fotografiche di 12 autori incentrata sulla ricerca iconografica della rappresentazione del modello umano.
Gli autori sono: Fabrizio Bellomo, Fabio Barile, Silvia Camporesi, Daniela Cavallo, Mario Cresci, Arianna Forcella, Cosmo Laera, Carmelo Nicosia, Cristina Omenetto, Francesco Radino, Pio Tarantini, Chiara Tocci

Curatrice: Antonella Pierno
     
GALLERIA MONOPOLI
via Giovanni Ventura 6 - 20134 Milano



martedì 13 dicembre 2011

Lightroom

Cos'è Lightroom?
Adobe Photoshop Lightroom riunisce tutti gli strumenti essenziali per l'elaborazione digitale delle immagini in un'unica soluzione rapida e intuitiva.
Lightroom offre tutti gli strumenti necessari per creare immagini straordinarie, gestire tutte le fotografie e visualizzarle in modo elegante ed efficace



Veronica










Manuel & Giulia








Gabriele


André Kertész


André Kertész è considerato uno dei maggiori fotografi del XX secolo.
Nacque a Budapest il 2 luglio del 1894 in una famiglia della media borghesia ebraica. Dopo essersi diplomato nel 1912 all'Accademia commerciale di Budapest, comperò la sua prima fotocamera, una Ica 4.5x6, un apparecchio maneggevole che utilizzava senza stativo. Arruolatosi nel 1915 nell'esercito austro-ungarico, partì volontario per il fronte russo-polacco, portando con sé una piccola Goerz tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con la quale documentò la vita di trincea e le lunghe marce, evitando gli aspetti più crudi della guerra.  
Nel settembre del 1925, a causa della depressione post-bellica dell'Ungheria si trasferì a Parigi, dove stavano convergendo altri importanti personaggi dell'avanguardia artistica come Germaine Krull, Robert Capa Man Ray e Berenice AbbottIntrecciò una profonda amicizia con Gyula Halász, conosciuto come Brassaï 


Nel 1928 acquistò una Leica ed insieme a Henri Cartier-Bresson iniziò a lavorare per la rivista VuNel 1929Kertész partecipò alla prima mostra indipendente di fotografia “Salon de l'escalier, insieme a Berenice Abbott, Laure Albin-Guillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man RayNadar e Eugène Atget
Nel 1933 la rivista Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà. Per l’occasione il fotografo ungherese affittò uno specchio deformante da un circo e nel suo studio realizzò una serie di fotografie di due modelle, Hajinskaya Verackhatz e Nadia Kasine. La serie conosciuta con il nome di“Distorsioni” applica unsurrealismo che nasce da una ricerca sulle possibili alterazioni delle forme corporee.  
Interessato alle nuove correnti artistiche americane, decise di accettare l'offerta di Erney Prince dell'agenziaKeystone, trasferendosi insieme alla moglie Elisabeth a New York, nell'ottobre del 1936. Il lavoro alla Keystone durò solo un anno. Le sue immagini non erano ben accette nel panorama fotogiornalistico statunitense, che richiedeva uno stile rigoroso e didascalico. Lavorò come freelance collaborando per molte riviste, tra cuiHarper's BazaarVogueTown and CountryThe American HouseColler's e CoronetLookContinuò a fotografare anche da malato, utilizzando un obiettivo zoom dalla finestra della sua casa affacciata sulloWashington Square Park. Raccolse le foto nel libro From my Window (1981), dedicandolo alla moglie Elisabeth morta di cancro nel 1977.  
Kertész ha passato tutta la sua vita alla ricerca dell'accettazione del consenso da parte della critica e del pubblico. Tuttavia i suoi lavori, la maggior parte delle volte, furono poco apprezzati. La sua arte non si è mai avvicinata ad alcun soggetto politico ed è rimasta legata ai lati più semplici della vita quotidiana, con toni molto intimi e lirici. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e i successivi alla morte segnano un rinnovato interesse verso degli scatti che riescono ad essere senza tempo.  
Considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea e da Brassai il proprio maestro, Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato. I costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano la versatilità e la continua ricerca comunicativa.  
Nonostante la strada sia stata il soggetto principale delle sue fotografie, non era interessato alla cronaca o agli eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare la felicità silenziosa dell’intimità quotidianità. Kertész ha mantenuto una linea poetica che lo tenne distante tanto dallo sperimentalismo di Man Ray, quanto dall’impegno sociale e politico che avrebbe avuto la sua definitiva consacrazione con la Guerra di Spagna del 1936. Ci lascia immagini che prediligono gli attimi, le emozioni passeggere. Foto che vivono nel ricordo e che evocano ricordi. Il profilo dei comignoli sullo sfondo del cielo. Il gioco di doppi creato dall'ombra di una forchetta in un piatto. Tutto con una capacità modernissima di reinventare il reale. 

teoria-obbiettivi, profondità di campo, esposizione e diaframma.

 DIAFRAMMA 
 Il diaframma è un meccanismo interno all'obiettivo, formato da lamelle metalliche sovrapposte, le quali formano un foro regolare che determina il diametro del fascio luminoso (apertura) e quindi l'intensità dell'illuminazione che colpisce il piano pellicola. L'apertura è la dimensione del foro nel diaframma dell'obiettivo, ed è indicato dai valori “f” segnati su un anello dell'obiettivo chiamati stop o diaframmi. I valori più comuni, dal più aperto al più chiuso, sono: f/1.4 – f/2 – f/2.8 – f/4 – f/5.6 – f/8 – f/11 – f/16. Aprendo di un diaframma (o stop), per esempio da f/5.6 a f/4 l'ampiezza del foro nel diaframma raddoppia e quindi permette al doppio della luce di passare, sempre parità di tempo d'esposizione. Il diaframma si comporta come una pupilla, dosa la luce che attraversa l'obiettivo: si chiude quando c'è tanta luce e si apre quando la luce è scarsa. Con diaframma più chiuso (f/11) avremo una maggiore profondità di campo. Il diaframma si può regolare manualmente o automaticamente.



TEMPO DI ESPOSIZIONE

I numeri sul disco selettore dell'otturatore si chiamano tempi d'esposizione. Il tempo d'esposizione (della pellicola), determina la durata d'apertura della tendina dell'otturatore nella macchina fotografica permettendo così, di impressionare la pellicola. I tempi d'esposizione, espressi in secondi, più comuni sono: 1/8 – 1/15 – 1/30 – 1/60 – 1/125 – 1/250 – 1/500 – 1/1000. Variando da 1/125 (un centoventicinquesimo di secondo) a 1/250 (un duecentocinquantesimo di secondo) si dimezza il tempo, quindi si dimezza la quantità di luce che impressiona la pellicola, sempre a parità d'apertura di diaframma. Impostando un tempo d'otturazione veloce si riesce a congelare un azione, mentre con un tempo lento si crea un effetto mosso per esaltarne la dinamicità. Importante è la scelta del tempo d'esposizione perché da esso dipende la nitidezza della fotografia. Il tempo d'esposizione è regolabile sia manualmente sia automaticamente.


PROFONDITA' DI CAMPO


Sulla pellicola si forma l'immagine degli oggetti che si trovano davanti all'obiettivo. L'immagine risulta nitida solamente quando la distanza tra l'obiettivo e la pellicola è corretta (piano focale). Oltre al piano focale abbiamo una zona d'accettabile nitidezza, che è la profondità di campo. La profondità di campo è la distanza fra i soggetti più vicini e quelli più lontani contemporaneamente a fuoco. Sono tre i fattori che influenzano la profondità di campo:
 l'apertura del diaframma, la distanza del soggetto, la lunghezza focale dell'obiettivo.
 Più chiudi il diaframma, maggiore è la profondità di campo. Minore è la lunghezza focale, maggiore diviene la profondità di campo. Maggiore è la distanza tra il soggetto e l'obiettivo, più estesa è la profondità di campo.



Obbiettivi
Gli obiettivi fotografici sono il mezzo attraverso il quale le immagini arrivano ad impressionare la pellicola. L'obiettivo è costituito, oltre che dalle lenti, da una serie di meccanismi di controllo quali il diaframma e il sistema per la messa a fuoco dell'immagine. Gli obiettivi si dividono in base alla loro lunghezza focale, che si esprime in millimetri (mm). La lunghezza focale è data dalla distanza tra il centro della lente e il suo fuoco principale, che è il punto in cui convergono tutti i raggi della luce, quindi maggiore è la distanza, maggiore è la lunghezza focale.

Soggetti in rosso