venerdì 30 dicembre 2011

Henry Cartier Bresson


“Osservare lì dove gli altri sanno solo vedere”. Questa frase racchiude l’essenza del lavoro di Henri Cartier-Bresson, la sua inconfondibile cifra stilistica, la diversità del suo approccio alla fotografia, il suo rapporto con la macchina fotografica, cito le parole di Bresson: “La mia Leica è letteralmente il prolungamento del mio occhio” dice Cartier-Bresson, “ il modo in cui la tengo in mano, stretta sulla fronte, il suo segno quando sposto lo sguardo da una parte all’altra, mi da l’impressione di essere un arbitro in una partita che mi si svolge davanti agli occhi, di cui coglierò l’atmosfera al centesimo di secondo”. 





Henri Cartier-Bresson è l’abile demiurgo che dirige con indiscussa maestria il meccanismo che fa del fotografato il fotografabile, regola l’osmosi esistente tra il gesto puramente meccanico di premere il pulsante della macchinetta fotografica, e l’impressione dell’oggetto-soggetto sulla pellicola. La realtà per Cartier-Bresson : “è un diluvio caotico di elementi, in questa realtà, il riconoscimento simultaneo in una frazione di secondo dell’importanza dell’evento così come l’organizzazione precisa delle forme, da a quell’evento la relativa espressione adeguata…”. Nella partita tra il fotografo, ed il tempo fugace e quanto mai effimero se visto dall’obiettivo della fotocamera, per Bresson: “Siamo spesso troppo passivi davanti a un mondo che si muove e il nostro unico momento di creazione è il 1/25° di secondo in cui pigiamo il pulsante, l’attimo di oscillazione in cui cala la mannaia. Siamo paragonabili ai tiratori che “sparano” una fucilata” 




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